IL TRIBUNALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    Nella   causa  penale  contro  Abduwah  Mouhamed,  sottoposto  ad
indagini  per  il  reato di cui all'art. 14, comma 5-quinquies d.lgs.
n. 286/1998,  come  modificato  dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, e
difeso di ufficio dall'avv. Francesco Macri'.
    Alle  ore  14,30  del giorno 17 settembre 2003 e' stato tratto in
arresto nella flagranza del reato sopra indicato perche' sorpreso nel
territorio  nazionale dopo la scadenza del termine di gg. 5 entro cui
avrebbe  dovuto  lasciare  l'Italia, in ottemperanza al provvedimento
dal  Questore di Roma, emesso ai sensi dell'art. 14, comma 5-bis, del
d.lgs. n. 286/1998.
    Il  predetto e' stato presentato in stato di arresto il giorno 18
settembre  2003  davanti  a  questo  giudice,  per la convalida ed il
contestuale  giudizio direttissimo, a norma dell'art. 5-quinquies del
citato art. 14.
    Dopo  la  relazione orale dell'agente operante e l'interrogatorio
dell'Abduwah  il  p.m.  ha  chiesto  la convalida dell'arresto, senza
richiedere l'applicazione di alcuna misura cautelare.
    La  difesa  ha  sollecitato  invece il giudicante a sollevare una
questione  di legittimita' costituzionale della norma di cui all'art.
14,  comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286/1998, come sostituito dalla
legge  n. 189/2002,  nella  parte  in  cui  prevede  che per il reato
contestato sia obbligatorio l'arresto dell'autore del fatto.
    Questo   giudice   -  che  ha  disposto  l'immediata  liberazione
dell'arrestato  - pur ritenendo conforme alle norme vigenti l'operato
della  p.g.,  che  ha  adottato  la misura restrittiva della liberta'
personale  nella  flagranza  di  un reato per il quale e' attualmente
previsto l'arresto obbligatorio ed ha inoltre presentato l'arrestato,
per  la  convalida, nei termini di legge, dubita di poter convalidare
l'arresto,  ritenendo  non  manifestamente  infondata la questione di
legittimita'  costituzionale sollevata dalla difesa, con riferimento,
in  particolare,  al disposto dell'art. 13, comma terzo e dell'art. 3
della Costituzione.
    Si osserva che la rilevanza della questione non viene meno per il
fatto  che  l'arrestato  e'  stato  rimesso  in  liberta', atteso che
comunque deve essere accertata la legittimita' dell'arresto eseguito,
che   nella   fattispecie   verrebbe   meno   ove   fosse  dichiarata
l'illegittimita' costituzionale della disposizione in base alla quale
esso  e'  stato operato (si richiama, in proposito, la sentenza della
Corte costituzionale n. 54 del 16 febbraio 1993).
    Nel  merito si rileva che la norma di cui all'art. 13 Cost., dopo
l'affermazione  del  principio  della  inviolabilita'  della liberta'
personale,  oltre a stabilire, al secondo comma, una riserva di legge
in  materia,  prevede,  quale regola generale, che ogni provvedimento
restrittivo  della  liberta'  della  persona  debba  essere  comunque
adottato con «atto motivato dell'autorita' giudiziaria».
    Nel terzo comma essa contempla una deroga, limitata ai soli «casi
eccezionali  di necessita' e di urgenza indicati tassativamente dalla
legge»,   in   presenza   dei   quali   e'  possibile  l'adozione  di
«provvedimenti   provvisori»  da  parte  dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza.
    In  merito  al  significato  del  termine  «eccezionale» la Corte
costituzionale  ha  ritenuto, nella sentenza n. 64 del 1977, che esso
non  e' «legato alla rarita' della fattispecie considerata, bensi' al
suo  porsi  al  di fuori della regola ordinaria», e che pertanto tale
requisito   «non   puo'  ritenersi  contraddetto  dalla  frequenza  e
prevedibilita'  dei fatti di violazione» della norma incriminatrice e
cosi'   motivando   ha  gia'  ritenuto  manifestamente  infondata  la
questione  di legittimita' costituzionale sollevata con due ordinanze
di  rinvio relative alla fattispecie di reato di cui all'art. 9 della
legge  27  dicembre  1956, n. 1423, come modificato dall'art. 8 della
legge  14  ottobre  1974  n. 497,  norma  che  consente l'arresto dei
contravveniori  agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale
anche fuori dei casi di flagranza.
    Se,  alla  luce  della  richiamata  decisione, non si evidenziano
dubbi  di  costituzionalita' della norma di cui trattasi in relazione
al   requisito   appena  considerato,  ad  opposta  conclusione  deve
pervenirsi  con riferimento agli altri due requisiti richiesti, ossia
quelli  della  necessita' e dell'urgenza che non appaiono ravvisabili
nella fattispecie in esame.
    La  Corte  ha  ritenuto, nella sentenza n. 173 del 1971, che «gli
estremi   della   necessita'   ed   urgenza,   affidati  al  prudente
apprezzamento  degli  organi  di  polizia,  nell'esercizio della loro
funzione  di pubblica sicurezza ... vanno visti sia in relazione alle
esigenze  dell'acquisizione  e  della conservazione delle prove, sia,
soprattutto, alle qualita' morali del soggetto attivo, cioe', piu' in
generale agli elementi subiettivi indicati dall'art. 133 cod. pen.».
    Nel  sistema  delineato  dal  nostro  codice  di  rito  la misura
dell'arresto  obbligatorio e' prevista nei casi di flagranza di reati
connotati  da particolare gravita', ossia quelli per i quali la legge
stabilisce  la  pena  dell'ergastolo o della reclusione non inferiore
nel  minimo  a  cinque  anni  e nel massimo a venti (art. 380 c.p.p.,
primo  comma), e nei casi di flagranza di altri reati, specificamente
indicati  (art.  380,  secondo comma), che sono stati individuati dal
legislatore  in  base  al  criterio  stabilito  nella legge delega 16
febbraio  1987,  n. 81,  che prevedeva la possibilita' di contemplare
l'arresto  obbligatorio,  oltre  che nelle ipotesi suddette, anche in
caso  di  flagranza  di reati puniti meno gravemente, in relazione ai
quali  la  misura fosse pero' imposta da «speciali esigenze di tutela
della collettivita». Va osservato che tale individuazione e' avvenuta
nel  pieno  rispetto della direttiva appena indicata, come facilmente
riscontrabile  esaminando  i  reati  che  sono  stati  inclusi  nella
previsione, comunque connotati da particolare gravita'.
    In  tutti questi casi la necessita' e l'urgenza sono insite nella
stessa  natura  dei  reati  per  i  quali la misura in esame e' stata
prevista,  reati che sono oggettivamente e concretamente suscettibili
di compromettere le suddette esigenze di tutela.
    Il  reato  di  cui  all'art. 14, comma 5-quinquies, che ha natura
contravvenzionale,  consiste  invece nella semplice inottemperanza da
parte dello straniero irregolare all'ordine di espulsione emanato dal
questore,  in  assenza  di  giustificato motivo. Questa violazione si
pone,  dunque, su di un piano del tutto diverso rispetto a quello dei
reati appena considerati.
    In  particolare la condotta che lo integra non e' suscettibile di
destare,  ne'  oggettivamente ne' dal punto di vista della condizione
soggettiva   dell'agente,   astrattamente   considerata,  particolare
allarme  sociale,  tale cioe' da giustificare, di per se', l'adozione
immediata  di  un  provvedimento  limitativo della liberta' personale
quale quello previsto dalla nuova normativa.
    E'  importante  sottolineare  che  nei  confronti dello straniero
tratto in arresto per non aver ottemperato all'ordine del questore di
lasciare il territorio dello Stato non e' consentita, per carenza dei
presupposti  di  legge, l'applicazione di alcuna misura cautelare. La
misura  adottata  dalla  p.g.  e' quindi destinata ad esaurire i suoi
effetti ancor prima dell'udienza di convalida. La norma dell'art. 121
delle  disposizioni  di  attuazione del c.p.p. stabilisce infatti che
quando il p.m. ritenga di non dover chiedere l'applicazione di misure
coercitive,  deve  disporre  l'immediata liberazione dell'arrestato o
del  fermato;  e'  ovvio che tale disposizione deve trovare a maggior
ragione applicazione nell'ipotesi in cui il p.m. non possa richiedere
dette  misure,  come  nel caso di specie, a causa della pena edittale
prevista.
    Il  provvedimento  contemplato  dalla  norma  di  cui trattasi si
discosta, dunque, da quella che e' la finalita' propria dell'arresto,
che e' generalmente misura di natura precautelare, ossia da adottarsi
per  ragioni  di  necessita'  ed urgenza in funzione della successiva
applicazione,   da   parte   dell'autorita'  giudiziaria,  di  misure
privative o limitative della liberta' personale.
    La  necessita'  e l'urgenza dell'arresto non appare individuabile
neppure  con  riferimento  alla  finalita'  di  rendere concretamente
possibile l'instaurazione del giudizio direttissimo, atteso che, come
appena  visto,  quest'ultimo  dovra'  necessariamente  svolgersi  nei
confronti  dell'imputato  in  stato  di liberta'. Peraltro nel nostro
sistema  processuale,  come  e'  noto,  il  rito  direttissimo non e'
necessariamente  collegato  ad  un  arresto  in flagranza, e ben puo'
essere  adottato  nei  confronti  di  un  imputato  libero  (esso  e'
previsto,  ad  esempio,  nei confronti dell'imputato libero che abbia
reso confessione, e quindi nell'ipotesi di evidenza della prova).
    Tanto meno puo' profilarsi la necessita' e l'urgenza dell'arresto
in  relazione  al  fine,  estraneo,  peraltro, alle finalita' proprie
dell'istituto,   di   rendere  possibile  l'espulsione  prevista  per
l'ipotesi che lo straniero si trattenga senza giustificato motivo nel
territorio dello Stato.
    Il  comma  5-ter,  dell'art. 14, prevede infatti che in tale caso
l'espulsione avviene sempre mediante accompagnamento alla frontiera e
dunque,  in  base  a  tale  disposizione,  e'  in ogni caso garantita
l'effettivita' dell'espulsione, e non si vede come quest'ultima possa
essere agevolata dall'arresto.
    L'inutilita'  dell'arresto  al  suddetto  fine,  attesa  la breve
durata   dei   suoi  effetti,  traspare  poi  con  maggiore  evidenza
nell'ipotesi  in  cui  non  sia  possibile  eseguire con immediatezza
l'espulsione,  ipotesi  nella  quale  il  questore,  in base al comma
5-quinquies,   dell'art. 14,  puo'  disporre  che  lo  straniero  sia
trattenuto  in  un  centro di permanenza temporanea, per la durata di
trenta giorni, prorogabili per altri trenta.
    Da ultimo va sottolineato come sia del tutto da escludersi che il
provvedimento   coercitivo   in   questione  possa  presentarsi  come
necessario  ed  urgente  in  relazione allo scopo dell'acquisizione o
conservazione  della  prova  del reato, finalita' che non vi e' alcun
pericolo  che possa essere compromessa ove l'autore del reato rimanga
libero.
    La  restrizione della liberta' personale dello straniero prevista
dalla  norma  in  esame  e'  dunque  priva  di  qualsivoglia concreta
utilita',  e  appare,  in  definitiva, fine a se' stessa e quindi del
tutto irragionevole.
    A   questo  riguardo  va  richiamata  la  decisione  della  Corte
costituzionale  n. 244  del  1974, nella quale la stessa ha affermato
che  «la  mancanza  nello  straniero  di  un legame ontologico con la
comunita'  nazionale e, quindi, di un nesso giuridico costitutivo con
lo  Stato  italiano,  conduce  a  negare allo stesso una posizione di
liberta'  in  ordine ...  alla  permanenza  nello Stato italiano, dal
momento  che  egli  puo'  soggiornarvi  solo  conseguendo determinate
autorizzazioni ...»;  ha  poi  aggiunto  che  la  ponderazione  degli
svariati  interessi  pubblici  che  presiedono  a tali determinazioni
«spetta  in  via primaria al legislatore ordinario, il quale possiede
in  materia  ampia discrezionalita', limitata, sotto il profilo della
conformita' alla Costituzione, soltanto dal vincolo che le scelte non
risultino» per l'appunto «manifestamente irragionevoli».
    La     ritenuta     non     ragionevolezza    della    previsione
dell'obbligatorieta'  dell'arresto,  nella  fattispecie  considerata,
consente  di  ritenere  manifestamente discriminatoria la stessa, nei
confronti di una categoria di persone peraltro socialmente sfavorite,
e  dunque  di  dubitare  della  conformita'  della  stessa al dettato
dell'art. 3 della Costituzione.
    La  Corte costituzionale, nella sentenza n. 64 del 1977, relativa
ad  una questione di legittimita' costituzionale concernente l'art. 9
della  legge  27 dicembre 1956, n. 1423 - nella parte in cui consente
che   l'autorita'   di   P.S.   possa   procedere   all'arresto   dei
contravventori  agli  obblighi  inerenti  alla  sorveglianza speciale
anche  fuori  dei  casi  di  flagranza  -  e sollevata in riferimento
all'art.  13, terzo comma della Costituzione, ha dichiarato la stessa
manifestamente  infondata,  avendo  ritenuto  «sufficiente, perche' i
detti  estremi  siano realizzati, che la situazione contemplata dalla
legge  sia  tale  da  prospettare  come  possibile  la necessita' del
provvedimento ...  salvo  poi  rimanendo  all'autorita'  di  pubblica
sicurezza di verificare la ricorrenza in concreto della necessita' ed
urgenza  dell'intervento,  in  base  alla  valutazione degli elementi
indicati nella sentenza n. 173 del 1971».
    La   norma   e'   stata   quindi  ritenuta  conforme  al  dettato
costituzionale   in   quanto   prevede   l'arresto  come  misura  non
obbligatoria  ma facoltativa ed ancorata alla sussistenza in concreto
della necessita' ed urgenza del provvedimento.
    Tale  decisione  fa comprendere, con riferimento alla fattispecie
di  reato  di  cui  trattasi, come sarebbe stata ragionevole, tutt'al
piu',  la  previsione  dell'arresto  facoltativo, ossia di una misura
lasciata   al   potere   discrezionale   dell'autorita'  di  pubblica
sicurezza,  da  esercitarsi  in  presenza  di  determinate situazioni
soggettive, che rendessero urgente e necessario l'intervento di P.S.,
salvo  ovviamente  il controllo circa la effettiva ricorrenza di tali
estremi da parte dell'autorita' giudiziaria.